Per attaccare alle persone l’etichetta di “malato” i medici si affidano in scienza e coscienza a definizioni e soglie diagnostiche di malattia stabilite da panel di esperti, generalmente pubblicate da linee guida e aggiornate secondo le innovazioni diagnostiche, l’efficacia di nuove terapie e i cambiamenti socio-culturali.
Cattivo pensiero: e se qualcuno interessato ad ampliare tali definizioni convincesse i professionisti responsabili di questi aggiornamenti ad abbassare le soglie diagnostiche per espandere il numero di malati e incrementare i profitti?
E’ indubbio che l’ampliamento delle definizioni di malattia può avere effetti favorevoli, ad esempio la diagnosi accurata di patologie gravi a uno stadio in cui sono ancora curabili. Tuttavia, sempre più frequentemente, tale ampliamento si configura come uno dei driver dell’ “overdiagnosis “(sovradiagnosi), ovvero la diagnosi in una persona sana di una malattia non evolutiva, che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce.
L’ “overdiagnosis “ (1) affibbia l’etichetta di malato alle persone sane, le danneggia esponendole a ulteriori test diagnostici e trattamenti inappropriati, aumenta ansia e stress e concorre allo spreco di preziose risorse che potrebbero essere utilizzate per la prevenzione e la terapia di “vere” malattie.
Oggi sappiamo bene che esistono “relazioni pericolose”, in particolare di natura finanziaria, tra industria farmaceutica e professionisti sanitari coinvolti nella produzione di linee guida per la pratica clinica, ed è del tutto legittima la preoccupazione che tali relazioni possano influenzare i giudizi professionali.
A tal proposito, un report pubblicato nel 2011 dall’U.S. Institute of Medicine raccomanda che gli autori di linee guida non dovrebbero avere conflitti di interesse e che i ruoli decisionali in questi panel dovrebbero essere assolutamente scevri da tali conflitti.
Il caldo estivo ha diradato la nebbia che avvolgeva i legami tra industria e professionisti sanitari coinvolti nella revisione delle definizioni delle patologie, svelando le possibili conseguenze in termini di “overdiagnosis “.
Infatti, il 13 agosto 2013 la rivista scientifica Plos Medicine (1) ha pubblicato uno studio trasversale dove Moynihan RN et coll. hanno identificato 15 panel di professionisti che hanno preso decisioni su definizioni e soglie diagnostiche di malattia, rilevando le modifiche proposte e i legami tra industria e componenti dei panel.
Delle 16 pubblicazioni che proponevano definizioni e criteri diagnostici per 14 malattie frequenti, in dieci casi le modifiche proposte dai panel di esperti ampliavano la definizione della patologia, in un caso la restringevano e in cinque avevano un impatto non chiaro.
Gli ampliamenti delle definizioni di malattia venivano effettuati con una delle seguenti “strategie”:
1- creazione di uno stadio di “pre-malattia” definito a rischio per i soggetti prima considerati normali (ad es. pre-ipertensione, malattia di Alzheimer),
2 - abbassamento delle soglie diagnostiche (ad es. ipercolesterolemia, depressione, reflusso gastro-esofageo, ADHD),
3 - di nuove tecniche e strategie diagnostiche (ad es. artrite reumatoide, sclerosi multipla, infarto del miocardio).
Solo 6 panel riportavano possibili effetti negativi delle modifiche proposte, senza mai valutare in maniera rigorosa gli svantaggi di un ampliamento delle definizioni.
Rispetto ai potenziali conflitti di interesse, 12/15 (80%) dei panel coinvolti includevano membri che avevano esplicitamente dichiarato relazioni finanziarie con varie aziende che commercializzano farmaci per trattare la malattia in esame.
In media il 75% dei professionisti membri dei panel hanno dichiarato legami con l’industria, per una media di 7 aziende ciascuno.
Inoltre, una percentuale simile dei membri dei panel ha dichiarato conflitti nelle pubblicazioni realizzate sia prima che dopo il report dello IOM (Institute of Medicine) del 2011 (della serie… “Ma chi se ne importa”, come cantava Morandi nel 1970).
Dal cattivo pensiero alle amare conclusioni: la maggior parte dei membri dei panel che hanno proposto modifiche per ampliare le definizioni diagnostiche di malattia aveva relazioni finanziarie con aziende farmaceutiche che hanno interessi commerciali per la stessa patologia.
Correttamente gli autori precisano che, in assenza di un gruppo di controllo, i dati non permettono di stabilire se è venuto prima l’uovo o la gallina, ovvero se esiste un rapporto causa-effetto tra i legami con l’industria e le modifiche proposte alle definizioni delle patologie.
In ogni caso, i dati confermano che le relazioni tra industria farmaceutica e influenti opinion leader sono sempre più pericolose, ignorano le raccomandazioni di influenti istituzioni (IOM) e sollevano scottanti problematiche sulle attuali modalità di definizione delle malattie e di aggiornamento delle soglie diagnostiche.
Ecco perché Richard Smith (direttore del British Medical Journal) sostiene che nella medicina moderna ciascuno di noi è affetto almeno da una malattia… eccetto la rabbia e la morte improvvisa.
Troppi esami diagnostici fanno male
Il 29 maggio 2012, il prestigioso British Medical Journal pubblica un articolo dal titolo inquietante: come prevenire l’overdiagnosis per smettere di danneggiare la salute. (2)
Se l’overdiagnosis si verifica quando in soggetti asintomatici viene diagnosticata una malattia non evolutiva, che non sarà mai sintomatica, né causa di mortalità precoce, la faccia oscura della luna è popolata da tutte le conseguenze negative di essere “etichettati” come malati, dai rischi legati a test diagnostici e trattamenti non necessari, dallo spreco di risorse economiche che potrebbero essere utilizzate in maniera più appropriata.
Sono numerosi i fattori che contribuiscono al fenomeno della overdiagnosis:
· Continua evoluzione delle tecnologie diagnostiche che consentono di identificare “anomalie” sempre più piccole
· Interessi commerciali e professionali
· Esperti in conflitto di interessi che espandono continuamente le definizioni di malattia e definiscono nuove entità patologiche. IlDiagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) è la “bibbia della psichiatria” che definisce i criteri diagnostici per le malattie mentali e i relativi trattamenti. Visto che è in fase di preparazione la quinta edizione (DSM V), cosa potrebbe succedere se il giudizio di“autori sacri” ed “evangelisti” fosse contaminato da conflitti di interesse? Che normali esperienze umane rischierebbero per incanto di trasformarsi in epidemie di malattie mentali dove persone assolutamente sane verrebbero etichettati come malati e sottoposti, senza alcuna necessità, a cure psicofarmacologiche? (3)
· Orientamento dell’autorità giudiziaria a condannare l’ “underdiagnosis ” (sottodiagnosi), ma non
l’ “overdiagnosis “ (sovradiagnosi) , che ha alimentato la crescita esponenziale della medicina difensiva
· Medicalizzazione incentivata dalle modalità di rimborso di servizi e prestazioni sanitarie
· Percezione socio-culturale che è sempre bene fare tanti esami diagnostici (more is better = di più è meglio) e soprattutto che la diagnosi precoce non comporta alcun rischio
Asma, neoplasie (mammella, polmone, tiroide, prostata), diabete gestazionale, embolia polmonare, insufficienza renale cronica, ipertensione, ipercolesterolemia, osteoporosi e chi più ne ha più ne metta.
Sempre di più i casi di “overdiagnosis “ che espandono il pool di malati, aumentano le aspettative sanitarie dei cittadini nei confronti di una medicina mitica, gonfiano le tasche di chi vende farmaci e tecnologie sanitarie e contribuiscono a ridurre la sostenibilità della sanità pubblica.
Se oggi è indispensabile recuperare qualunque risorsa sprecata per erogare prestazioni sanitarie non necessarie e potenzialmente dannose, l’ “overdiagnosis”, faccia oscura del progresso tecnologico, promette grandi margini di recupero.
Note:
(2)Preventing overdiagnosis: how to stop harming the healthy
(3) E se la “bibbia” della salute mentale fosse adulterata?
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The cancer
di admin P. M.
venerdi 14 febbraio 2014
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